| Quella domenica mattina, Solomon uscì da quello che era da poco diventato il suo studio piuttosto stanco. Il rituale che aveva effettuato su sé stesso era stato piuttosto complesso e lo aveva quasi lasciato del tutto privo di forze. Guardando l'orologio su polso della mano sinistra, annerita come se qualcuno vi avesse sfregato sul dorso del carbone, si accorse che era quasi ora di colazione, così si avviò a fatica verso la Hall, il braccio che formicolava fino al gomito, e si concesse un sorriso appena accennato mentre attraversava i corridoi del Castello. Era rimasto piuttosto sorpreso quando la Preside Robins lo aveva chiamato per offrirgli una cattedra di ritualistica nell'Istituto, e aveva accettato con gioia: sarebbe stato, con i suoi diciannove anni, il professore più giovane nella breve storia della scuola. A dirla tutta, negli States non era neppure considerato maggiorenne, ma la Preside aveva insistito che non ci sarebbero stati problemi e che avrebbe potuto condurre i suoi studi in tranquillità, purchè svolgesse le sue lezioni. All'inizio, Solomon si era dimostrato un po' scettico e diffidente: che fosse un modo per controllarlo? Nulla però, durante i primi mesi di permanenza, gli aveva dato modo di credere che si trattasse di quello, così si era rimesso a lavoro e finalmente la sera precedente aveva effettuato il lungo rito a cui lavorava da mesi. Rito che era riuscito appieno, sebbene avesse avuto qualche effetto collaterale momentaneo, che sarebbe sparito nel giro di qualche giorno.
Arrivato finalmente alla Hall, si appoggiò con la spalla allo stipite della grande porta, senza più energie, lasciando che fosse il suo stesso peso a sostenerlo. Non voleva scatenare un allarme, ma capì che non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungere il tavolo dei docenti senza cadere. Quella sera, aveva scelto di indossare una camicia nera a collo alto e dei pantaloni di cotone cachi dal taglio elegante ma morbido, abbinati ad una cinta color testa di moro e non aveva avuto ancora la forza per cambiarsi d'abito. Prese con la mano destra un fazzoletto celeste dalla tasca del pantalone e si asciugò la fronte, dove si erano formate leggere goccioline di sudore, mentre infilava la mano sinistra in tasca per evitare domande inappropriate da parte di qualche studente troppo curioso, avviandosi verso uno dei posti liberi al tavolo delle Volpi, la casa dell?Istitute che più lo rappresentava e trovò un posto libero davanti ad una studentessa mora che teneva gli occhi chiusi, godendosi il sole sulla pelle chiara: nel porsi davanti a lei, gli fece ombra per un attimo, sottraendo la sua pelle ai raggi solari.
- Mi spiace disturbarla, signorina. Se non le do troppo fastidio, posso sedermi? -
Chiese, o meglio pigolò, data la sua maledetta timidezza, con un sorriso affabile ma nervoso appena accennato e il tono pacato leggermente arrochito dalla stanchezza, sostenendo tutto il peso del suo corpo con la mano destra, il cui palmo poggiava ora contro il legno piacevolmente freddo del tavolo in mogano.
Edited by Solomon Ervin Slane - 22/6/2014, 11:57
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