| Un sole radioso prometteva una bella giornata primaverile dopo mesi di pioggia ininterrotta. Jay quel giorno si era alzato di buonumore, talmente tanto di buonumore da saltare la meditazione mattutina che faceva parte della sua rigida routine. L'indiano aveva aperto la finestra della camera d'albergo nella quale alloggiava, mettendosi con i gomiti appoggiati sul davanzale, le mani intrecciate sotto il mento ad osservare il cielo. Ne era sicuro, quel giorno avrebbe ricevuto la lettera dal Preside del Phoenix che finalmente rispondeva alla sua lettera. Dopotutto, con il suo curriculum avrebbe ottenuto il posto con uno schiocco di dita. Fu così che, fiducioso e felice come un bambino al quale erano state promesse delle caramelle, l'aspirante professore si mise a fissare il cielo con espressione ebete, gli occhi verdi spalancati e pronti a intercettare qualunque gufo/civetta/pollo il Preside gli avrebbe inviato. E aspettò. E aspettò. E aspettò ancora.
Dopo ben sette minuti di contemplazione, al giovane Subramani fu chiaro come le acque del Gange che nessun volatile sarebbe arrivato a fargli visita quel giorno. Sconsolato stava per tornarsene sotto le coperte a rimuginare su quanto il destino fosse crudele, quando ebbe un'idea brillante. Dopotutto, nessuno gli impediva di muovere le sue chiappe abbronzate e dirigersi all'Istituto, chiacchierando a quattr'occhi col Preside e evitando che fosse compito di un qualche portatore d'aviaria recargli la notizia della sua assunzione. Indossato un semplice maglione bianco e dei jeans, i fidi anfibi tenuti slacciati sui polpacci, l'uomo si era procurato un boccone di naan e dopo essersi dato una sistemata si smaterializzò davanti ai cancelli del Phoenix. Entrò cautamente, osservandosi attorno. Era passato molto, moltissimo tempo da quando aveva varcato quei cancelli per l'ultima volta. Dieci anni ormai lo separavano dai ricordi della sua adolescenza, dieci lunghi anni nei quali aveva riscattato la sua vita e realizzato i sogni del giovane ragazzo figlio di emigrati. L'ex Blue Dolphin guardò l'immenso parco, facendo vagare lo sguardo sul verde prato che sembrava estendersi all'infinito. I ricordi si rincorrevano, ovattati e sfocati davanti ai suoi occhi, come se qualcuno li stesse proiettando su quell'immenso scenario. Iniziando a camminare mani in tasca, l'uomo continuava a sorridere osservando il castello, preda dei ricordi. Vivido ancora il ricordo di quando era rimasto chiuso fuori dal dormitorio con un suo amico, e avevano finito per rintanarsi a dormire nell'armadio delle scope. Doveva ringraziare che il vecchio Custode fosse stato un anziano rimbambito mezzo cieco, o avrebbe passato guai seri. O di quando gli era stato propinato un Gay Test da parte di alcune compagne di Casata, attratte dal bell'aspetto ma ignare del perché il fustacchione evitasse le donne. Non poteva dimenticare di quel reggiseno che gli era atterrato sul viso, facendolo scappare a gambe levate rinchiudendosi in bagno semi-traumatizzato. Sì, era un ragazzo adolescente parecchio problematico.
La sequela di memorie venne interrotta quando nella sua visuale piombò una persona dall'aspetto trascurato. L'indiano era solito curare molto il suo aspetto, e osservava la barba incolta dell'altro chiedendosi se avvicinandosi e accarezzandola, quella avrebbe fatto le fusa. Ma non era proprio il caso di andare ad accarezzare le barbe della gente, dopotutto lui era un armadio a due ante educato. Sforzandosi leggermente, riuscì a ricordarsi che il suo obiettivo lì era di incontrare il Preside, non molestare i barbuti. Alzò la mano destra in segno di saluto, rivolto all'uomo a una decina di metri da lui. - Ohilà, buonuomo! Sto cercando il signor Preside, sapete dove posso reperirlo? - sapeva perfettamente che i Presidi del Phoenix Institute erano persone estremamente e continuamente impegnate. Nessuno sapeva perché, come o quando, ma ogni due per tre avevano un “impegno improrogabile”, o “un contrattempo”, o dovevano “farsi i cazzi loro”, e tutti quegli anni di studio gli avevano insegnato che, onde evitare di ritrovarsi le ore a barboneggiare davanti all'Ufficio del Preside, era sempre comodo chiedere se l'uomo si trovasse già dietro la grossa scrivania di mogano.
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