Jay osservò soddisfatto la vecchia catapecchia comprata da poco. L'impiegato del ministero che si occupava della compravendita delle abitazioni era stato restio a farlo entrare lì, ma il mago eccitato come un bambino aveva insistito per entrarvi.
E non se ne pentiva, affatto.
Si trattava di una modestissima casetta a due piani, con il tetto piano trasformabile in terrazza se rimesso a posto. Vi era un giardino strapieno di erbacce, pieno di buche e sassi, e un alberello secco piantato senza una logica precisa in mezzo al vialetto scassato che portava dal cancello arrugginito fino alla casa. Tutto contento, Jay aprì il cancello per entrare, quando con uno schiocco secco questo gli rimase sulle mani. Osservò impanicato quel pezzo di ferro spezzato stretto nella sua manona, e col fiato corto lo appoggiò alla staccionata, facendo finta di nulla nemmeno avesse commesso un atto vandalico. Iniziò ad incamminarsi verso la casa, trovandosi ben presto a fronteggiare l'albero secco. L'osservò concentrato, prendendosi il mento fra pollice e indice e iniziando a gironzolare attorno alla povera pianta studiandola a fondo. Dopo tre giri, e senza essere giunto a nessunissima conclusione, lasciò perdere l'arbusto dirigendosi verso la sua nuova casa. Infilò la grossa chiave nella toppa, dovendo litigare con la toppa che sembrava bloccata. Un po' troppa forza, ed ecco che la chiave gli rimase spezzata in mano. Con lo stesso sguardo del bambino che osserva il cono gelato caduto a terra, egli rimase per qualche attimo profondamente ferito da quell'ignominoso atto compiuto dalla chiave, riuscendo solo dopo aver metabolizzato il trauma ad estrarre la bacchetta e castare un Reparo ed un Alohomora non verbali su chiave e porta. Cigolando sui cardini, questa si aprì, svelando l'interno. Un minuscolo corridoio claustrofobico portava al soggiorno, e Jay lo percorse col cuore in gola, non trovandosi a suo agio con gli spazi stretti. Dopo aver raggiunto l'agognata sala, l'indiano si ritrovò i piedi affossati in un morbido tappeto, che attutiva i suoi passi. Sentì il naso pizzicare, e abbassando lo sguardo vide con suo sommo orrore che il tappeto altro non era che un manto di polvere spesso quanto una sua mano. Orripilato corse a spalancare le finestre, tossendo violentemente e coprendosi bocca e naso col collo della maglia. Per la prima volta da anni, il sole tornava a colpire quelle stanze ammuffite. Girandosi attorno, Jay non vedeva altro che stanze minuscole, completamente vuote, e a suo avviso inutilizzabili. Non aveva certo bisogno di tutte quelle stanze, lui che era abituato alla sua povera casa nella periferia di Los Angeles, e all'ancor più topaia dove aveva vissuto in Bengala, gli sarebbe bastata una singola stanza. Gli occhi gli caddero sulle scale, e decise di salirle per vedere dove l'avrebbero portato. Con suo sommo dolore, erano ancora cunicoli bui e stanzette per nani. Probabilmente i vecchi proprietari si erano persi lì dentro e ci erano morti. Almeno giustificava anche l'odore di cadavere che sentiva.
***
Era passata una settimana, e l'indiano aveva iniziato a lavorare a pieno regime sulla sua casupola. Per intanto aveva pulito da cima a fondo la casa, che necessitava anche di molti restauri. Nulla che non si potesse fare con un po' di magia ma ehi, i veri ommmini ne fanno a meno! Ecco il motivo principale per il quale, come un novello Bob l'aggiustatutto, si era procurato degli attrezzi da idraulico e aveva bellamente iniziato a lavorare sugli scarichi. Nella sua mente, il wc era una cosa primaria da aggiustare, abbastanza stanco di doversi andare a liberare dietro un cespuglio durante i lavori. Ma la sua scarsa conoscenza del mestiere l'aveva spinto ad abbandonare il restauro, lasciando un pappagallo stretto a morte attorno ad un bullone e fin troppa acqua in giro. Aveva quindi deciso di buttare giù una parete, deciso a liberarsi di tutte quelle stanzette inutili, ma non era andata come pensava. Preso un grosso martello, grazie ai suoi potenti muscoli aveva buttato giù mattone per mattone la parete, facendo crollare una parte di soffitto. Aveva osservato il buco sul soffitto per qualche attimo, e aveva realizzato che non era forse il caso di giocare a fare il costruttore di case da solo. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse. Un supereroe con la
Barba maiuscola.
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Quella mattina Jay stava lavorando con addosso un'orrida, vecchia tuta da lavoro legata sui fianchi, con addosso una canotta sudata per lo sforzo. Stava puntellando una colonna per impedire che il tetto gli crollasse addosso, deciso a non morire per risistemare la sua casa. Aveva perfino già pronto il progetto, da bravo architetto da strapazzo, doveva solo aspettare il Mastro Carpentiere che, sperava, si sarebbe fatto vivo presto. C'erano ancora le erbacce da togliere nel giardino, il vialetto da risistemare, soffitti da irrobustire e pareti da buttare giù. E poi voleva la veranda, una veranda sopra la quale stendersi ad osservare le stelle, o fumando un narghilè in buona compagnia. O anche fare una braciolata con un sacco di amici, perché no. Impugnando un cacciavite a stella, straconvinto di ciò che stava facendo, tentava di inserire una vite a taglio sui cardini di una porta, senza capire per quale motivo la vite non andava giù. Osservò irato il manuale che aveva comprato per l'occasione,
“Diventare un ottimo riparatore in cinque giorni”, e lui dopo settimane ancora non aveva capito un accidente. Con un calcio fece volare il manuale in alto, oltre la stanza… andando ad infrangere un vetro per poi spiaccicarsi in giardino insieme a mille pezzi di vetro. Esasperato appoggiò la testa alla colonna, indeciso se rannicchiarsi in posizione fetale a piangere o fare il duro scolandosi una bottiglia di rum per dimenticare.